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Danno da perdita di chance

Danno da perdita di chance.

Il danneggiato vittima di un incidente stradale, di un infortunio, di un caso di malasanità o di qualsiasi atto o fatto illecito può subire tra gli altri anche un danno per la perdita di ottenere futuri vantaggi economici e patrimoniali a causa della condotta illecita altrui.

Chi si ritiene danneggiato dovrà necessariamente dimostrare il nesso di causalità tra il fatto illecito e la perdita subita che deve essere effettiva, attuale e quantificabile (Onere della prova).

Egli avrà quindi l’onere di provare le concrete possibilità di raggiungere il risultato sperato (attraverso ad esempio presupposti per il conseguimento già realizzati) e l’impedimento causato dall’illecito altrui (Cassazione sentenza n.10748 del 1996), quindi dimostrare, anche in modo presuntivo, di possedere già i requisiti necessari per ottenere questi futuri vantaggi o miglioramenti economici che avrebbe quindi potuto potenzialmente conseguirli qualora non si fosse verificato l’evento lesivo.

La chance quindi non può essere solo un’aspettativa di risultato, ma deve essere una concreta e qualificabile probabilità statistica di conseguire un vantaggio.

Si tratta di un danno di natura patrimoniale, che interessa la sfera reddituale ed economica del danneggiato, autonomamente e giuridicamente riconosciuto e risarcibile (articolo 2043 del Codice civile), anche attraverso valutazione equitativa, sulla base però di elementi concreti e quantificabili (Cassazione sentenza n.25102 del 2017).

Il danno quindi consiste nella perdita della possibilità di ottenere un determinato risultato e non nella perdita del risultato stesso e la valutazione dell’entità di questa perdita viene effettuata attraverso un calcolo probabilistico, il quale deve necessariamente considerare anche il fatto che lo stesso risultato sperato poteva essere ugualmente ostacolato ed impedito anche da altri fattori, diversi dall’illecito subito.

Un esempio ? Tizio perde una causa in tribunale per un ritardo negligente dell’avvocato nel presentare un’opposizione entro i termini.

Ciò non significa automaticamente che senza tale errore l’assistito avrebbe certamente vinto la causa, tuttavia tale negligenza ha sicuramente comportato la perdita di tale possibilità e questa privazione costituisce un danno autonoma mente rilevante e risarcibile.

Come detto, il risarcimento sarà riconosciuto non per compensare il risultato non ottenuto, ma per l’impossibilità di conseguirlo per colpa dell’evento lesivo subito.

Ipotizziamo che il danneggiato, a causa del danno subito, perde la possibilità di conseguire occasioni economiche o lavorative vantaggiose, egli  ha diritto ad ottenere un risarcimento anche per il danno da perdita di chance.

Un caso di perdita di chance da incidente stradale può verificarsi per l’impossibilità di presentarsi a lavoro durante il periodo di prova o da un cliente per il perfeziona mento di un contratto a causa, ad esempio, delle macrolesioni patite nel sinistro.

I danni patrimoniali si dividono in lucro cessante e danno emergente.

Il primo consiste nel mancato guadagno che si sarebbe ragionevolmente conseguito qualora l’evento lesivo non si fosse verificato, mentre il secondo è l’insieme dei costi economici e patrimoniali subiti dal danneggiato a causa dell’illecito.

Mentre il danno emergente consiste nella diminuzione dell’utilità già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, il lucro cessante riguarda redditi non ancora disponibili, ma che si suppone ragionevolmente raggiungibili.

I mancati guadagni futuri, che si sarebbero facilmente conseguiti qualora il sinistro non si fosse verificato, fanno quindi parte del cosiddetto lucro cessante, mentre la perdita, in senso stretto, della possibilità di conseguirli rientra nel danno emergente.

Entrambe le voci fanno parte dello stesso pregiudizio subito, ma nonostante l’evidente correlazione vanno considerati in maniera differente e risarciti autonomamente (artico lo 1223 codice civile).

Per la quantificazione del danno da perdita di chance in senso stretto, il risarcimento dovrà essere determinato in via equitativa, in base alle reali possibilità di conseguire il risultato sperato, tenendo conto anche di tutti gli eventi, diversi dal sinistro, che avrebbero potuto comunque impedire il raggiungimento di tali vantaggi che devono essere concreti e che non si sono potuti conseguire a causa del sinistro subito.

La chance fa quindi parte del patrimonio attuale del danneggiato e di conseguenza la perdita di tale possibilità viene considerata dalla recente giurisprudenza come un danno emergente autonomamente risarcibile.

In relazione al capitolo della responsabilità medica, l’errore del sanitario può incidere sulla durata e/o sulla qualità della vita di un paziente e l’illecito del medico quindi non influisce solo sulla possibilità per il danneggiato di ottenere futuri risultati economici, ma anche nella possibilità di affrontare in maniera migliore l’ultimo periodo della sua vita o addirittura di vivere più a lungo.

Ad esempio il ritardo o l’errore del medico nel diagnosticare una malattia terminale provoca sicuramente nel paziente un danno morale terminale e un danno da perdita di chance.

La chance, come stabilito ad esempio nelle sentenze della Cassazione n.7195 del 2014 e n.16993 del 2015, può rappresentare la possibilità per il paziente di trascorrere in modo diverso il tempo residuo a sua disposizione che gli viene negata per un errore nella diagnosi della patologia terminale da parte del medico.

Anche in questo caso, il danno da perdita di chance va quantificato equitativamente dal giudice, tenendo conto delle reali possibilità di sopravvivenza del paziente o del miglioramento della qualità della sua vita residua, qualora non si fosse verificato l’errore del medico.

Un esempio vissuto da me qualche mese fa?

Tizio subisce un errore medico durante un intervento chirurgico effettuato per rallentare l’esito infausto di una patologia terminale e tale illecito comporta per il paziente la perdita della possibilità di poter vivere per un periodo di tempo maggiore rispetto a quello effettivamente vissuto.

In tal caso ci sarebbero sicuramente i presupposti per richiedere un risarcimento danni da malasanità (Cassazione, sentenza n.7195 del 2014) ma l’onere probatorio è a carico del danneggiato che dovrà dimostrare il nesso causale tra l’errore del sanitario e la perdita subita, attraverso l’assunto del “più probabile che non” (Cassazione, sentenza n.21255 del 2013) ed è sufficiente che il nesso causale tra il comportamento colpevole del medico e l’evento incerto (la perdita di chance) sia il più probabile rispetto ad altre possibili cause (la cosiddetta “ragionevole probabilità”, sentenza della Cassazione n.4024 del 2018.

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Morte dopo il parto

Morte, dopo il parto, di una donna che decise di partorire la sua seconda bambina, avendo scelto di avere vicino la mamma, nel suo paese natio, nel sud dell’Italia.
La gravidanza procedeva bene, Lei era in buona salute.
Tutto sembrava volgere verso il meglio, i controlli cui si era sottoposta erano sereni, esami ematochimici nella norma.
La donna muore per complicanze dovute al parto in circostanze da studiare e da approfondire.
Sono contattato dal vedovo per partecipare all’autopsia e per tutelare gli interessi degli eredi.
Il danno da perdita del rapporto parentale, cioè la sofferenza patita per aver perso una persona cara, in seguito ad un fatto illecito, è uno degli aspetti che saranno considerati sul valore del risarcimento globale che gli eredi hanno diritto.
Una battaglia nel Sud Italia mi attende.
Una morte dopo il parto che si poteva evitare.
Ho ciò che mi occorre, la mia formazione, il mio passato, le ore trascorse sui libri, i confronti, a volte aspri, con colleghi che osservano eventi da punti di vista diversi e per ciò giungono a conclusioni non condivise.
Sono già in auto. Attivo la mia libreria di Spotify.
Parto.
Questa volta da solo.
Con i miei pensieri e le speranze di chi difenderò.
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Mail: info@studiomedicolegalelorello.it

L’amministratore di sostegno si revoca

L’amministratore di sostegno si revoca, come nel caso in esame, in cui una donna mi racconta che ha un amministratore ma che si sente bene dal punto di vista psichico e non capisce perché non può gestire da sola il proprio patrimonio.
Il fatto mi incuriosisce ed io chiedo di visitarla, analizzare i fatti, osservare dove abita e come vive.
La convoco dapprima al mio studio e l’osservo, quindi analizziamo i vari aspetti tecnico giuridici e medicolegali, quindi ci riserviamo l’analisi dei dati.
La signora mi sembra non più malata di mente di tanti altri…
Acquisisco il mandato, comprendendo comunque che Ella non può certo darmi mandato personalmente proprio perchè affetta da patologia psichica.
Con il mio staff decido di far domanda al giudice di cambio dell’amministratore, affidando l’onere al fratello che ha le possibilità e la volontà di farlo.
Mi intriga molto una difesa medico legale in tale ambito, poichè ciò ribalta la convinzione che l’amministratore di sostegno una volta affibbiato diventi inamovibile. 
Invece egli/ella si revoca se ci sono le condizioni cliniche che dimostrano la capacità globale di amministrare il patrimonio e la propria vita.
La strategia è quella di ribaltare la diagnosi facendo visitare la paziente con il consenso del fratello da un consulente psichiatra e dall’area psicodiagnostica del mio staff clinico e medicolegale di studio su incarico permesso dal fratello che ci dà mandato, quando egli diventerà a sua volta amministratore.
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Decesso in seguito a caduta.

Decesso in seguito a caduta.
Una donna, passeggiando con la figlia, cade a terra in seguito alla trazione violenta del braccio, da dietro, per uno scippo esercitato alla figlia stessa.
La figlia durante la caduta trascina con sé la mamma che, anziana, rovina al suolo e avverte un grave dolore alla spalla destra.
La figlia chiama il 118 e conduce in PS la mamma ove diagnosticano una frattura ingranata e composta dell’omero destro.
La donna è dimessa con una fascia elastica, ma, a casa, inizia a lamentare dolore al femore destro, dove qualche anno prima aveva avuto una protesi.
A questo punto, riportata in PS, esegue la radiografia dell’arto inferiore e scopre di avere anche una frattura periprotesica del femore destro.
I sanitari scelgono di dimetterla con terapia medica e richiesta di un controllo radiografico a breve.
Ad una donna di più di ottant’anni con due fratture, senza eseguire esami diagnostici internistici, è consigliato così di andare a casa.
Durante la notte, affanno ingravescente, per cui è condotta in altro ospedale e di lì a poco muore.
Lo studio “Lorello & Partners” si fa carico, su invito degli eredi, di presenziare ed eseguire l’autopsia, per valutare le cause della morte e le eventuali correlate responsabilità.
Attendiamo gli esiti della Procura per esprimere in ambito penale le nostre riflessioni e avviare una probabile azione risarcitoria in ambito civile.
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Principio di autodeterminazione.

Principio di autodeterminazione.

Una nonna di 86 anni muore dopo due giorni dall’accesso al PS.

La figlia tre giorni prima per ben due volte chiama l’ambulanza che giunge in verità al domicilio in tempi adeguati e previsti.

In entrambi le occasioni i sanitari visitano la paziente e si accertano delle condizioni cliniche della stessa che non appaiono critiche.

E senza creare allarme, ritengono che non vi siano i presupposti per il ricovero e consigliano la vigile attesa.

Chiamati la terza volta i sanitari cambiano atteggiamento e scelgono il ricovero per approfondire lo stato di salute della paziente.

Questa volta agiscono non chiedendo il consenso della parte interessata.

La povera nonna in verità non vuole andare in ospedale ma è costretta a farlo poichè gli infermieri del 118, con un sotterfugio, Le dicono che è obbligata a seguirli.

La figlia non Le sarebbe stata vicino perchè non poteva (certo ne aveva piacere) benchè fosse la sola che avrebbe potuto, ma le fu impedito.

Libertà di ricovero e principio di autodeterminazione, quindi, non rispettata.

Essi mentono di fatto poichè la nonna sarà accolta in una struttura Covid ove non è possibile l’assistenza del congiunto.

La nonna muore, senza colpa di sanitari, ma è lesa nella sua libertà di ricoverarsi e nel diritto a far rispettare il principio di autodeterminazione, sancito dalla Costituzione.

L’erede sarà risarcita per violazione del diritto alla libertà di autodeterminazione della mamma che aveva tutto il diritto di rifiutarsi.

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Un decesso e le responsabilità dei sanitari.

Un decesso e le responsabilità dei sanitari.

Muore una persona cara.

I familiari sospettano vi sia la responsabilità dei sanitari e/o dell’azienda ospedaliera e mi cercano in videochiamata whatsApp.

Chiedono la partecipazione all’autopsia del medico legale per comprendere perché e come sia accaduto il decesso ed io accetto con piacere perchè l’autopsia è sempre un’esperienza arricchente e spesso mi insegna correlazioni e spunti di riflessione.

Rifletto con il CTU designato sulle cause e sugli eventuali errori omissivi o commissivi.

La specializzazione in medicina interna mi aiuta perché le cause che conducono un paziente alla morte possono essere molteplici e vivere insieme al malato condividendone i pensieri e le sue ansie acuisce la sensibilità clinica.

Le analisi ematochimiche e le immagini strumentali infatti devono essere interpretate e lette con uno sguardo tra le righe alla luce dell’evolversi della patologia che spesso non è quella descritta sui libri.

Le conclusioni cui giunge il medico legale incaricato dalla Procura sono condivisibili sia per la sua competenza metodologica che per capacità critiche (non scontate).

Vi è una concreta premessa su cui costruire l’azione risarcitoria successiva in ambito civilistico.

Sei interessato ad una consulenza medico legale nel corso di un’autopsia ? Contattami al link 

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L’errore medico e responsabilità

L’errore medico.

Un collega mi chiede aiuto per una vicenda che lo coinvolge qualche anno prima.

Mi racconta che giunto al letto dell’ammalato, in visita domiciliare, prescrive esami e una radiografia, quindi una terapia farmacologica.

Dopo due giorni l’ammalato muore e i familiari imputarono al medico la responsabilità del decesso.

In effetti il sanitario, dall’analisi dei dati dell’accusa, appare sapiente e diligente nell’approccio alla visita, identifica il paziente (che non sembra essere grave), esprime un sospetto diagnostico, chiede un approfondimento, consiglia una terapia condivisibile.

Il decesso non sembra essere imputato a lacune gravi della condotta del sanitario che invece trascura un aspetto frequente: non da’ la possibilità di un contatto (telefonico ?) trascurando un fare empatico che dovrebbe essere parte del progetto assistenziale di ognuno di noi.

Il collega è prosciolto dalla grave accusa di essere responsabile, anche collateralmente della morte dell’ammalato, ma un dubbio mi sovviene.

Se fosse stato più disponibile, avesse manifestato meno frettolosità, lasciato la possibilità di essere contattato dopo qualche ora o il giorno dopo, i familiari sarebbero stati altrettanto severi e dubbiosi sulla condotta eseguita ?

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L’errore del medico di base e la responsabilità.

L’errore del medico di base e la responsabilità.

Il paziente danneggiato dal comportamento del proprio medico di base potrà far valere la responsabilità medica per dolo o colpa anche rivolgendosi all’ASL di appartenenza.

Tutto ciò alla luce dell’articolo 7, comma 1 della Legge 24/2017 (Gelli) e articoli 1218 e 1228 del C.C.

Il comma 2 sottolinea che le prestazioni sanitarie sono quelle svolte in regime di libera professione o attraverso la telemedicina o in regime di convenzione con il SSN.

Vi è cioè il rispetto del principio di posizione e cioè che la struttura sanitaria risponde contrattualmente di tutto ciò che avviene all’interno del proprio ambito di competenza e quindi dell’operato dei soggetti di cui si avvale.

L’errore del medico di base e la responsabilità.

I medici di base quindi rispondono per la responsabilità extracontrattuale, così come per gli altri medici, per non agire nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente, mentre è ferma la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

Vuoi saperne di più ? Contattami e ne discuteremo i vari aspetti.

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Malattia asintomatica e colpa del medico.

Malattia asintomatica e colpa del medico.

Vi racconto la storia di due genitori che davanti al Tribunale di Milano chiedono la condanna ed il risarcimento dei danni del loro medico di famiglia per la morte del loro figlio colpito da broncopolmonite asintomatica.

I genitori ritengono che il medico ha commesso un errore diagnostico e terapeutico, prescrivendo al piccolo solo dei farmaci contro il vomito, ma, il bambino, con carenza immunitaria anticorpale, accusa dapprima astenia e cefalea, febbricola, poi alcuni episodi di vomito.

Dopo questi episodi il piccolo muore a causa delle complicanze di una polmonite franca lobare che interessa un intero lobo polmonare.

Il giudice di primo grado dispone una CTU.

Advise patient that complete dissolution is not required prior to administration. When used with clomipramine, these drugs can cause heart trouble, such as irregular and rapid heart rate, trouble breathing, and fatigue. Although there is negligible cross-reactivity between penicillins and third-generation cephalosporins, [7] [15] caution should still be used when using ceftriaxone in penicillin-sensitive patients https://farmaciaonlinesinreceta.org/viagra/. Fasenra may be injected by a healthcare professional, or by the patient once training has been provided.

Il consulente d’ufficio, nella propria relazione, conferma l’assenza di qualsiasi responsabilità professionale del sanitario anche perché non vi era alcun nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento morte.

Anche in sede di appello la domanda risarcitoria non trova accoglimento per cui si giunge in Cassazione.

La Corte rigetta il ricorso sostenendo che la conclusione a cui era giunta la Corte d’Appello è esatta e cioè che non vi era alcun nesso causale tra la condotta del medico e l’evento morte.

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Distorsione del rachide cervicale: sempre necessaria una radiografia ?

Distorsione del rachide cervicale: sempre necessaria una radiografia ?

In relazione all’applicazione del comma 2 dell’articolo 139 del Codice delle Assicurazioni, nell’accertamento dell’invalidità da lesione micropermanente, provocata da incidente stradale, non è indispensabile il referto strumentale con immagini.

Le restrizioni poste dalla legge di conversione del decreto Cresci Italia non pongono alcun automatismo che vincoli l’accertamento dell’invalidità permanente alla diagnostica per immagini.

Infatti quest’ultima rappresenta l’unico mezzo probatorio solamente quando il soggetto leso lamenta una malattia che non si può diagnosticare con certezza mediante sola visita medica.

You may be more likely to have some of these symptoms if you also take an “ACE inhibitor” heart or blood pressure medication. Carry this with you at all times. However, too many parents – and physicians – choose pharmaceuticals as their preferred option generico cialis online precio. This reduction can occur at any time but is less likely to occur once breast-feeding is well-established.

Questa questione è chiarita dalla Corte di Cassazione durante un’ordinanza in cui fu accolta l’istanza di tre persone che avevano subito danni a causa di un incidente stradale.

Il Giudice di Pace incaricato accoglie la loro domanda di risarcimento solo in relazione all’invalidità temporanea, negando quello per l’invalidità permanente che non è risultata accertata e tale decisione è confermata anche in sede di impugnazione.

Il Tribunale ribadisce che nell’ambito delle microlesioni fosse comunque necessario eseguire un’indagine strumentale necessaria alla diagnosi al fine di risarcire un danno biologico permanente, mentre un semplice riscontro visivo da parte di un medico legale sarebbe stato sufficiente per risarcire un danno di invalidità temporanea.

Una conclusione errata, secondo i ricorrenti, in quanto i commi 3-ter e 3-quater dell’art. 32 del d.l. n. 1/12 (conv. in L. n. 27/2012) sono da leggere in correlazione alla necessità che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”.

Le norme (senza differenze sostanziali fra loro) e i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (ossia il visivo-clinico-strumentale) non sono gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis.

La Corte ribadisce che in materia di risarcimento del danno da c.d. lesione micropermanente, l’art. 139, comma 2, del d.lgs. n. 209/2005, nel testo modificato dall’art. 32, comma 3-ter, del d.l. 1/2012, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi e oggettivi criteri medico-legali.

E, prosegue l’ordinanza, l’accertamento clinico strumentale obiettivo può non essere l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale.

Distorsione del rachide cervicale: sempre necessaria una radiografia ? No, non è sempre necessaria, quindi.

Secondo la Corte, la sussistenza dell’invalidità permanente non deve essere esclusa solamente per il fatto che non vi è un referto strumentale per immagini che la documenti e ovviamente resta comunque necessaria l’esecuzione di un rigoroso ed oggettivo accertamento medico-legale.

La sentenza è cassata con rinvio al Tribunale affinché fosse accertata se l’invalidità permanente lamentata dai ricorrenti possa essere ritenuta o meno comprovata sulla base di criteri oggettivi o se, in concreto, la patologia dedotta fosse suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale.

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