Articoli

Il decesso e la responsabilità

Quando si riceve un incarico di analisi su un decesso è necessario avviare una valutazione preliminare di fattibilità.

È un atto cruciale per il quale è necessaria sapienza medicolegale e saggezza.

Uno dei compiti che mi prefiggo è tutelare il committente perché non tutti i dati posso essere sufficienti per il ragionamento medico legale e ciò esporrebbe al rischio di soccombenza chi pensa di aver ragione.

Meditate quindi cari lettori.

Www.studiomedicolegalelorello.it

La frattura del femore e il decesso

La frattura del femore e il decesso.
Un uomo, Luigi, in buone condizioni di salute, per una brusca frenata del bus su cui era condotto, cade riportando una frattura del femore, così è condotto in PS e dopo cinque giorni giunge al decesso per l’instaurarsi di complicanze correlate al trauma subìto.
Nulla possono i medici che si dimostrano all’altezza delle attese e mostrano sapienza, diligenza e prudenza nella gestione degli eventi.
Risarcita la moglie, malata, che dopo due mesi muore, i due figli, i figli dei figli, due nipoti che convivevano con il nonno, di cui egli ne aveva cura.
Lo studio Maior, di cui sono il consulente medico legale, ha ottenuto ciò che era giusto e non da tutti prevedibile….
Il soggetto in esame non ha il biglietto con sè ma la violazione del rapporto contrattuale è evidente e indipendente.
Bravi quindi gli avvocati Michele Sorrentino, Pierlorenzo Catalano, Filippo Castaldo per aver assistito con sapienza e umanità il caso di nonno Luigi e aver individuato la strategia difensiva adeguata per la richiesta di un legittimo risarcimento.
La frattura del femore e il decesso sono legati da nesso di causalità riconosciuto.
Se vuoi saperne di più sulle attività dello studio “Lorello & Partners” sono qui https://www.facebook.com/marcello.lorello
Vuoi conoscere le sedi di consulenza in Italia ? https://studiomedicolegalelorello.it/contatti-e-sedi-di-consulenza/

Autoimmunità e incompatibilità carceraria

Autoimmunità e incompatibilità carceraria.

Vi racconto una storia da Palermo. Una donna mi confida che il suo uomo, tempo fa, ebbe la diagnosi di una malattia autoimmunitaria.

Egli ora è in carcere e, per il tramite di sua moglie, ritiene che il freddo e l’umidità cui sarebbe esposto, rimanendo in carcere, con molta probabilità farebbe precipitare la malattia e innescare complicanze trombotiche per cui chiede di essere riconosciuto incompatibile con la detenzione in carcere.

La malattia infatti è una di quelle patologie subdole in cui il paziente appare star bene fino a che non si ha una condizione ambientale come quella che si vive in cella, spesso non riscaldata adeguatamente.

Cercherò di far capire al giudice competente i rischi, cui il detenuto è esposto, e l’impossibilità da parte della casa circondariale di garantire una temperatura stabile e calda, per evitare il rischio di trombosi.

Non sarà una passeggiata ma ci proverò e come sempre bisogna studiare i documenti, analizzare la storia, contestualizzarla, valutare le motivazioni giuridiche e comprendere la strategia migliore, quindi affidare all’area “controversie legali” il compito della valutazione normativa.

Per ora vado a dormire e nel mio dormiveglia rifletterò su come impostare la difesa.

Vuoi sapere come andrà a finire ? Segui il link 

Hai un problema analogo ? un parente in carcere ? segui il link 

Seguimi sul sito

 

Morte a Palermo

Morte a Palermo. Fatalità o colpa ?

Una giovane donna mi chiama e mi dice che un congiunto morì dopo un intervento chirurgico che sembrava fosse stato risolutivo.

Una vedova, mamma con due figli, che chiede aiuto, rimasta sola e in miseria che vuol vederci chiaro sul perchè l’uomo della sua vita non c’è più.

Il compito affidatomi non è semplice, nè lineare.

Da una parte evitare di alimentare speranze che non possono essere sostenute, dall’altra la riflessione, senza sentimenti, del medico legale che deve analizzare i fatti.

Leggerò attentamente le cartelle cliniche, indagherò la storia del deceduto, le sue abitudini, gli eventi trascorsi nel periodo prossimo e remoto della vita biologica,  senza fretta.

La cartella clinica mi appare incompleta, una grafica veloce, frettolosa, una compilazione approssimata di elementi anamnestici.

Il mio sguardo è attratto da alcuni esami ematochimici che mi suggeriscono un impegno tissutale grave.

Morte a Palermo. La morte come giunse ?

Più che comprendere gli ultimi attimi della vita di quest’uomo ciò che mi interessa nelle prime fasi è il nesso di causalità tra l’errore della condotta del sanitario o del presidio ospedaliero e il decesso.

Meno male che ho una staff di prim’ordine di medici specialisti di branca cui chiedere un parere e un’area legale che guarda gli aspetti della Dottrina.

Vuoi conoscermi meglio ? Segui il link 

Hai domicilio in prossimità delle mie sedi in Italia ? Segui il link

 

Morte dopo il parto

Morte, dopo il parto, di una donna che decise di partorire la sua seconda bambina, avendo scelto di avere vicino la mamma, nel suo paese natio, nel sud dell’Italia.
La gravidanza procedeva bene, Lei era in buona salute.
Tutto sembrava volgere verso il meglio, i controlli cui si era sottoposta erano sereni, esami ematochimici nella norma.
La donna muore per complicanze dovute al parto in circostanze da studiare e da approfondire.
Sono contattato dal vedovo per partecipare all’autopsia e per tutelare gli interessi degli eredi.
Il danno da perdita del rapporto parentale, cioè la sofferenza patita per aver perso una persona cara, in seguito ad un fatto illecito, è uno degli aspetti che saranno considerati sul valore del risarcimento globale che gli eredi hanno diritto.
Una battaglia nel Sud Italia mi attende.
Una morte dopo il parto che si poteva evitare.
Ho ciò che mi occorre, la mia formazione, il mio passato, le ore trascorse sui libri, i confronti, a volte aspri, con colleghi che osservano eventi da punti di vista diversi e per ciò giungono a conclusioni non condivise.
Sono già in auto. Attivo la mia libreria di Spotify.
Parto.
Questa volta da solo.
Con i miei pensieri e le speranze di chi difenderò.
Vuoi conoscere la mia storia ? segui il link  
Risiedi in prossimità delle mie sedi di consulenza ?
Mail: info@studiomedicolegalelorello.it

L’amministratore di sostegno si revoca

L’amministratore di sostegno si revoca, come nel caso in esame, in cui una donna mi racconta che ha un amministratore ma che si sente bene dal punto di vista psichico e non capisce perché non può gestire da sola il proprio patrimonio.
Il fatto mi incuriosisce ed io chiedo di visitarla, analizzare i fatti, osservare dove abita e come vive.
La convoco dapprima al mio studio e l’osservo, quindi analizziamo i vari aspetti tecnico giuridici e medicolegali, quindi ci riserviamo l’analisi dei dati.
La signora mi sembra non più malata di mente di tanti altri…
Acquisisco il mandato, comprendendo comunque che Ella non può certo darmi mandato personalmente proprio perchè affetta da patologia psichica.
Con il mio staff decido di far domanda al giudice di cambio dell’amministratore, affidando l’onere al fratello che ha le possibilità e la volontà di farlo.
Mi intriga molto una difesa medico legale in tale ambito, poichè ciò ribalta la convinzione che l’amministratore di sostegno una volta affibbiato diventi inamovibile. 
Invece egli/ella si revoca se ci sono le condizioni cliniche che dimostrano la capacità globale di amministrare il patrimonio e la propria vita.
La strategia è quella di ribaltare la diagnosi facendo visitare la paziente con il consenso del fratello da un consulente psichiatra e dall’area psicodiagnostica del mio staff clinico e medicolegale di studio su incarico permesso dal fratello che ci dà mandato, quando egli diventerà a sua volta amministratore.
Ti interessa la mia storia professionale? segui il link
Risiedi in prossimità di una delle mie sedi in Italia ? segui il link 

Decesso in seguito a caduta.

Decesso in seguito a caduta.
Una donna, passeggiando con la figlia, cade a terra in seguito alla trazione violenta del braccio, da dietro, per uno scippo esercitato alla figlia stessa.
La figlia durante la caduta trascina con sé la mamma che, anziana, rovina al suolo e avverte un grave dolore alla spalla destra.
La figlia chiama il 118 e conduce in PS la mamma ove diagnosticano una frattura ingranata e composta dell’omero destro.
La donna è dimessa con una fascia elastica, ma, a casa, inizia a lamentare dolore al femore destro, dove qualche anno prima aveva avuto una protesi.
A questo punto, riportata in PS, esegue la radiografia dell’arto inferiore e scopre di avere anche una frattura periprotesica del femore destro.
I sanitari scelgono di dimetterla con terapia medica e richiesta di un controllo radiografico a breve.
Ad una donna di più di ottant’anni con due fratture, senza eseguire esami diagnostici internistici, è consigliato così di andare a casa.
Durante la notte, affanno ingravescente, per cui è condotta in altro ospedale e di lì a poco muore.
Lo studio “Lorello & Partners” si fa carico, su invito degli eredi, di presenziare ed eseguire l’autopsia, per valutare le cause della morte e le eventuali correlate responsabilità.
Attendiamo gli esiti della Procura per esprimere in ambito penale le nostre riflessioni e avviare una probabile azione risarcitoria in ambito civile.
Se hai interesse a conoscere la mia storia professionale, segui questo link  
Se risiedi in prossimità di una delle mie sedi digita qui e contattami.

L’incompatibilità al carcere.

L’incompatibilità al carcere.

Il medico del carcere o il perito sono tenuti a fornire chiari elementi clinici di giudizio quali, ad esempio, l’emendabilità della condizione patologica mediante appropriata terapia, la condizione di cronicità o di lenta evolutività nonché la prognosi quoad vitam.

Per la concessione del differimento della pena restrittiva della libertà personale che deve essere eseguito a favore di chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, occorre quindi la sussistenza di una malattia grave, tale cioè da porre in pericolo la vita del condannato o provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, tale da esigere un trattamento che non si possa agevolmente attuare nello stato di detenzione.

Come già rilevato, il giudizio sulla gravità ha carattere relativo giacchè si fonda sul rapporto tra condizione individuale del soggetto e condizione dell’ambiente carcerario e, pertanto, l’accertata infermità costituirà causa possibile di differimento non solo perché grave nel senso sopra indicato, ma soprattutto in quanto potenzialmente aggravata dalla condizione carceraria.

Non può e non deve invece assumere rilievo il carattere cronico ed inguaribile della malattia dato che il requisito della guaribilità o della reversibilità dell’infermità non è richiesto dalla norma.

La valutazione dell’incompatibilità relativa si correla quindi al singolo luogo di detenzione, per cui una volta mutato questo, si riavrà la compatibilità con il carcere, oppure, finito il periodo di ricovero, ad esempio, in un luogo di cura, l’incompatibilità “temporanea” può venire meno.

L’incompatibilità al carcere e il rinvio dell’esecuzione della pena rappresenterebbe quindi il rimedio residuale, al quale cioè ricorrere “in tutti quei casi in cui il diritto alla salute ed all’integrità personale del detenuto non sia altrimenti tutelabile da parte del complesso degli strumenti normativi preposti (assistenza interna, assistenza in centri clinici specialistici dell’amministrazione, assistenza ospedaliera esterna ai sensi dell’art. 2 legge penitenziaria), ovvero il protrarsi della carenza di adeguati interventi terapeutici esponga il detenuto a rischi incompatibili con il rispetto dei parametri costituzionali” per cui soltanto nei casi in cui non sia realizzabile una tutela “attiva” del diritto alla salute del soggetto condannato nei modi descritti sarà possibile applicare l’art. 147 comma I n. 2) c.p..

Sempre in merito all’identificazione dell’infermità fisica, la Corte di Cassazione ha precisato che per giungere all’incompatibilità al carcere “deve ritenersi grave non esclusivamente quello stato patologico del condannato che determina il pericolo di morte, ma pur ogni altro tipo d’infermità fisica che cagioni il pericolo di altre rilevanti conseguenze dannose o, quantomeno, esiga un trattamento che non si possa attuare in ambiente carcerario e che necessariamente abbia probabilità di regressione nel senso del recupero, totale o parziale, dello stato di salute” e in altra sentenza precedente ha affermato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 147 comma I n. 2 c.p. “è necessario che l’infermità fisica, oltre a potersi giovare, nello stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci di quelli che possono essere prestati nelle apposite istituzioni dell’ambiente carcerario, sia di tale gravità, per proporsi infausta quoad vitam o per altro motivo”.

In ossequio ai principi costituzionali, il giudizio di gravità o di infermità ha quindi carattere non assoluto ma relativo fondandosi su un rapporto di volta in volta mutevole tra condizioni individuali del condannato e condizioni dell’ambiente carcerario (Minna e Mangili).

Albino e Pannain suggeriscono che “per comportare la formulazione di un giudizio di non compatibilità l’infermità deve essere di entità tale che lo stato detentivo determini- con ragionevole prevedibilità – causa di peggioramento delle condizioni del soggetto o di non miglioramento – anche riabilitativo – o, pur non incidendo sulla evoluzione della infermità, sia però motivo di sofferenza non conciliabile con la salvaguardia dei diritti della persona o non consenta una attuazione, ragionevole, del diritto di scelta del medico e del luogo di cura”.

La natura di provvedimento temporaneo cui tende il differimento per le prime, infatti, risulta certamente soddisfatta poiché la durata della pena detentiva non sarà intaccata dalla sua essenza e in questi casi la concessione del beneficio potrà essere motivata, oltre che da ragioni squisitamente umanitarie, dalla inattuabilità della necessaria terapia in ambiente carcerario.

Nel caso, al contrario, di patologia divenuta cronica ci si è chiesti se si possa applicare tale istituto considerando che, in questo modo, il rinvio della esecuzione della pena si sostanzierebbe in una mancata esecuzione della pena stessa.

Per il vero, oggi, nel caso di situazioni fisiche insanabili, vi è la possibilità di optare per la detenzione domiciliare in luogo del differimento, ai sensi dell’art. 47 ter, c. I ter O.P .

Il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena deve essere disposto anche nel caso in cui riguardi “donna incinta o che abbia partorito da meno di un anno (art. 146 comma I, nn. le 2 c.p.)” o

  1. “nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate (art. 286 bis comma II c.p.p.)”, o
  2. “altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trovi in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative (art. 146 comma I, n.

L’incompatibilità assoluta e relativa prevista dall’art. 286 bis c.p.p. e art. 146 c.p. si estranea dal livello di efficienza del servizio sanitario penitenziario, riferendosi invece ad altri parametri normativi o di giudizio ma ciò comportava un automatismo nei provvedimenti adottati dal giudice perchè il medico, rilevate le evidenze diagnostiche, accertava l’incompatibilità dalla quale scaturiva a sua volta l’obbligo di differimento della pena o il divieto di custodia cautelare.

Altra riflessione è inoltre per quei  casi di detenuti affetti da una patologia che abbia come conseguenza inevitabile la morte, come, per esempio, un carcinoma in fase terminale, situazioni nelle quali, stricto sensu, non è possibile parlare di incompatibilità con lo stato detentivo per motivi di salute, è diffusa una prassi a disporre la scarcerazione, come vero e proprio atto di clemenza dello Stato, che rinuncia al suo potere punitivo nei confronti del malato detenuto.

Del resto, nel caso di malati terminali la funzione stessa della pena perderebbe la sua ragione di essere sancita a livello costituzionale dall’art. 27, III comma, secondo il quale  “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Se ne ha necessità mi contatti 

Cerchi una sede in Italia più vicina a Lei

Vuole conoscermi meglio ? Legga la mia storia professionale.

Principio di autodeterminazione.

Principio di autodeterminazione.

Una nonna di 86 anni muore dopo due giorni dall’accesso al PS.

La figlia tre giorni prima per ben due volte chiama l’ambulanza che giunge in verità al domicilio in tempi adeguati e previsti.

In entrambi le occasioni i sanitari visitano la paziente e si accertano delle condizioni cliniche della stessa che non appaiono critiche.

E senza creare allarme, ritengono che non vi siano i presupposti per il ricovero e consigliano la vigile attesa.

Chiamati la terza volta i sanitari cambiano atteggiamento e scelgono il ricovero per approfondire lo stato di salute della paziente.

Questa volta agiscono non chiedendo il consenso della parte interessata.

La povera nonna in verità non vuole andare in ospedale ma è costretta a farlo poichè gli infermieri del 118, con un sotterfugio, Le dicono che è obbligata a seguirli.

La figlia non Le sarebbe stata vicino perchè non poteva (certo ne aveva piacere) benchè fosse la sola che avrebbe potuto, ma le fu impedito.

Libertà di ricovero e principio di autodeterminazione, quindi, non rispettata.

Essi mentono di fatto poichè la nonna sarà accolta in una struttura Covid ove non è possibile l’assistenza del congiunto.

La nonna muore, senza colpa di sanitari, ma è lesa nella sua libertà di ricoverarsi e nel diritto a far rispettare il principio di autodeterminazione, sancito dalla Costituzione.

L’erede sarà risarcita per violazione del diritto alla libertà di autodeterminazione della mamma che aveva tutto il diritto di rifiutarsi.

Vuoi saperne di più ? Contattami 

Scegli la sede più vicina a Te