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Autoimmunità e incompatibilità carceraria
/0 Commenti/in Storie di vita /da Marcello LorelloAutoimmunità e incompatibilità carceraria.
Vi racconto una storia da Palermo. Una donna mi confida che il suo uomo, tempo fa, ebbe la diagnosi di una malattia autoimmunitaria.
Egli ora è in carcere e, per il tramite di sua moglie, ritiene che il freddo e l’umidità cui sarebbe esposto, rimanendo in carcere, con molta probabilità farebbe precipitare la malattia e innescare complicanze trombotiche per cui chiede di essere riconosciuto incompatibile con la detenzione in carcere.
La malattia infatti è una di quelle patologie subdole in cui il paziente appare star bene fino a che non si ha una condizione ambientale come quella che si vive in cella, spesso non riscaldata adeguatamente.
Cercherò di far capire al giudice competente i rischi, cui il detenuto è esposto, e l’impossibilità da parte della casa circondariale di garantire una temperatura stabile e calda, per evitare il rischio di trombosi.
Non sarà una passeggiata ma ci proverò e come sempre bisogna studiare i documenti, analizzare la storia, contestualizzarla, valutare le motivazioni giuridiche e comprendere la strategia migliore, quindi affidare all’area “controversie legali” il compito della valutazione normativa.
Per ora vado a dormire e nel mio dormiveglia rifletterò su come impostare la difesa.
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Morte a Palermo
/0 Commenti/in Storie di vita /da a.panseraMorte a Palermo. Fatalità o colpa ?
Una giovane donna mi chiama e mi dice che un congiunto morì dopo un intervento chirurgico che sembrava fosse stato risolutivo.
Una vedova, mamma con due figli, che chiede aiuto, rimasta sola e in miseria che vuol vederci chiaro sul perchè l’uomo della sua vita non c’è più.
Il compito affidatomi non è semplice, nè lineare.
Da una parte evitare di alimentare speranze che non possono essere sostenute, dall’altra la riflessione, senza sentimenti, del medico legale che deve analizzare i fatti.
Leggerò attentamente le cartelle cliniche, indagherò la storia del deceduto, le sue abitudini, gli eventi trascorsi nel periodo prossimo e remoto della vita biologica, senza fretta.
La cartella clinica mi appare incompleta, una grafica veloce, frettolosa, una compilazione approssimata di elementi anamnestici.
Il mio sguardo è attratto da alcuni esami ematochimici che mi suggeriscono un impegno tissutale grave.
Morte a Palermo. La morte come giunse ?
Più che comprendere gli ultimi attimi della vita di quest’uomo ciò che mi interessa nelle prime fasi è il nesso di causalità tra l’errore della condotta del sanitario o del presidio ospedaliero e il decesso.
Meno male che ho una staff di prim’ordine di medici specialisti di branca cui chiedere un parere e un’area legale che guarda gli aspetti della Dottrina.
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Morte dopo il parto
/0 Commenti/in Storie di vita /da Marcello LorelloL’amministratore di sostegno si revoca
/0 Commenti/in Storie di vita /da Marcello LorelloDecesso in seguito a caduta.
/0 Commenti/in Storie di vita /da Marcello LorelloL’incompatibilità al carcere.
/0 Commenti/in Domande Frequenti /da a.panseraL’incompatibilità al carcere.
Il medico del carcere o il perito sono tenuti a fornire chiari elementi clinici di giudizio quali, ad esempio, l’emendabilità della condizione patologica mediante appropriata terapia, la condizione di cronicità o di lenta evolutività nonché la prognosi quoad vitam.
Per la concessione del differimento della pena restrittiva della libertà personale che deve essere eseguito a favore di chi si trova in condizioni di grave infermità fisica, occorre quindi la sussistenza di una malattia grave, tale cioè da porre in pericolo la vita del condannato o provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, tale da esigere un trattamento che non si possa agevolmente attuare nello stato di detenzione.
Come già rilevato, il giudizio sulla gravità ha carattere relativo giacchè si fonda sul rapporto tra condizione individuale del soggetto e condizione dell’ambiente carcerario e, pertanto, l’accertata infermità costituirà causa possibile di differimento non solo perché grave nel senso sopra indicato, ma soprattutto in quanto potenzialmente aggravata dalla condizione carceraria.
Non può e non deve invece assumere rilievo il carattere cronico ed inguaribile della malattia dato che il requisito della guaribilità o della reversibilità dell’infermità non è richiesto dalla norma.
La valutazione dell’incompatibilità relativa si correla quindi al singolo luogo di detenzione, per cui una volta mutato questo, si riavrà la compatibilità con il carcere, oppure, finito il periodo di ricovero, ad esempio, in un luogo di cura, l’incompatibilità “temporanea” può venire meno.
L’incompatibilità al carcere e il rinvio dell’esecuzione della pena rappresenterebbe quindi il rimedio residuale, al quale cioè ricorrere “in tutti quei casi in cui il diritto alla salute ed all’integrità personale del detenuto non sia altrimenti tutelabile da parte del complesso degli strumenti normativi preposti (assistenza interna, assistenza in centri clinici specialistici dell’amministrazione, assistenza ospedaliera esterna ai sensi dell’art. 2 legge penitenziaria), ovvero il protrarsi della carenza di adeguati interventi terapeutici esponga il detenuto a rischi incompatibili con il rispetto dei parametri costituzionali” per cui soltanto nei casi in cui non sia realizzabile una tutela “attiva” del diritto alla salute del soggetto condannato nei modi descritti sarà possibile applicare l’art. 147 comma I n. 2) c.p..
Sempre in merito all’identificazione dell’infermità fisica, la Corte di Cassazione ha precisato che per giungere all’incompatibilità al carcere “deve ritenersi grave non esclusivamente quello stato patologico del condannato che determina il pericolo di morte, ma pur ogni altro tipo d’infermità fisica che cagioni il pericolo di altre rilevanti conseguenze dannose o, quantomeno, esiga un trattamento che non si possa attuare in ambiente carcerario e che necessariamente abbia probabilità di regressione nel senso del recupero, totale o parziale, dello stato di salute” e in altra sentenza precedente ha affermato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 147 comma I n. 2 c.p. “è necessario che l’infermità fisica, oltre a potersi giovare, nello stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci di quelli che possono essere prestati nelle apposite istituzioni dell’ambiente carcerario, sia di tale gravità, per proporsi infausta quoad vitam o per altro motivo”.
In ossequio ai principi costituzionali, il giudizio di gravità o di infermità ha quindi carattere non assoluto ma relativo fondandosi su un rapporto di volta in volta mutevole tra condizioni individuali del condannato e condizioni dell’ambiente carcerario (Minna e Mangili).
Albino e Pannain suggeriscono che “per comportare la formulazione di un giudizio di non compatibilità l’infermità deve essere di entità tale che lo stato detentivo determini- con ragionevole prevedibilità – causa di peggioramento delle condizioni del soggetto o di non miglioramento – anche riabilitativo – o, pur non incidendo sulla evoluzione della infermità, sia però motivo di sofferenza non conciliabile con la salvaguardia dei diritti della persona o non consenta una attuazione, ragionevole, del diritto di scelta del medico e del luogo di cura”.
La natura di provvedimento temporaneo cui tende il differimento per le prime, infatti, risulta certamente soddisfatta poiché la durata della pena detentiva non sarà intaccata dalla sua essenza e in questi casi la concessione del beneficio potrà essere motivata, oltre che da ragioni squisitamente umanitarie, dalla inattuabilità della necessaria terapia in ambiente carcerario.
Nel caso, al contrario, di patologia divenuta cronica ci si è chiesti se si possa applicare tale istituto considerando che, in questo modo, il rinvio della esecuzione della pena si sostanzierebbe in una mancata esecuzione della pena stessa.
Per il vero, oggi, nel caso di situazioni fisiche insanabili, vi è la possibilità di optare per la detenzione domiciliare in luogo del differimento, ai sensi dell’art. 47 ter, c. I ter O.P .
Il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena deve essere disposto anche nel caso in cui riguardi “donna incinta o che abbia partorito da meno di un anno (art. 146 comma I, nn. le 2 c.p.)” o
- “nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate (art. 286 bis comma II c.p.p.)”, o
- “altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trovi in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative (art. 146 comma I, n.
L’incompatibilità assoluta e relativa prevista dall’art. 286 bis c.p.p. e art. 146 c.p. si estranea dal livello di efficienza del servizio sanitario penitenziario, riferendosi invece ad altri parametri normativi o di giudizio ma ciò comportava un automatismo nei provvedimenti adottati dal giudice perchè il medico, rilevate le evidenze diagnostiche, accertava l’incompatibilità dalla quale scaturiva a sua volta l’obbligo di differimento della pena o il divieto di custodia cautelare.
Altra riflessione è inoltre per quei casi di detenuti affetti da una patologia che abbia come conseguenza inevitabile la morte, come, per esempio, un carcinoma in fase terminale, situazioni nelle quali, stricto sensu, non è possibile parlare di incompatibilità con lo stato detentivo per motivi di salute, è diffusa una prassi a disporre la scarcerazione, come vero e proprio atto di clemenza dello Stato, che rinuncia al suo potere punitivo nei confronti del malato detenuto.
Del resto, nel caso di malati terminali la funzione stessa della pena perderebbe la sua ragione di essere sancita a livello costituzionale dall’art. 27, III comma, secondo il quale “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
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Un decesso e le responsabilità dei sanitari.
/0 Commenti/in Storie di vita /da Marcello LorelloUn decesso e le responsabilità dei sanitari.
Muore una persona cara.
I familiari sospettano vi sia la responsabilità dei sanitari e/o dell’azienda ospedaliera e mi cercano in videochiamata whatsApp.
Chiedono la partecipazione all’autopsia del medico legale per comprendere perché e come sia accaduto il decesso ed io accetto con piacere perchè l’autopsia è sempre un’esperienza arricchente e spesso mi insegna correlazioni e spunti di riflessione.
Rifletto con il CTU designato sulle cause e sugli eventuali errori omissivi o commissivi.
La specializzazione in medicina interna mi aiuta perché le cause che conducono un paziente alla morte possono essere molteplici e vivere insieme al malato condividendone i pensieri e le sue ansie acuisce la sensibilità clinica.
Le analisi ematochimiche e le immagini strumentali infatti devono essere interpretate e lette con uno sguardo tra le righe alla luce dell’evolversi della patologia che spesso non è quella descritta sui libri.
Le conclusioni cui giunge il medico legale incaricato dalla Procura sono condivisibili sia per la sua competenza metodologica che per capacità critiche (non scontate).
Vi è una concreta premessa su cui costruire l’azione risarcitoria successiva in ambito civilistico.
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La vittima del dovere e obblighi relativi.
/0 Commenti/in Storie di vita /da Marcello LorelloLa vittima del dovere e obblighi relativi.
Egli non può rimanere in attesa degli eventi, proprio perchè in forza di un giuramento è vincolato dalla Legge e dal codice deontologico.
Un poliziotto, mentre e’ allo stadio con i familiari, osservando una lite tra due adulti, si avvicina, prima tenta di farli ragionare, poi cerca di dividerli ma nella colluttazione riceve un pugno sull’occhio.
Perde progressivamente la vista in due anni dopo sofferenze inaudite.
Egli ha il dovere di tentare di sedare la rissa e adempie agli obblighi del Suo ruolo.
La vittima del dovere sarà risarcita dallo Stato perchè il danno è superiore al valore del 25% di danno biologico secondo le tabelle di riferimento.
La vittima del dovere e obblighi relativi.
Il mio ruolo è difenderlo in CMO e, dopo la doverosa analisi preliminare del caso, far comprendere gli aspetti clinici e medicolegali del danno subito a chi deve dare il giudizio e quantificarne il danno subìto .
Il paziente ritiene di poter riporre la sua fiducia in me.
Se ritieni di essere vittima del dovere contattami al 3488607320 (anche whatsApp).
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Distorsione del rachide cervicale: sempre necessaria una radiografia ?
/0 Commenti/in Blog /da Marcello LorelloDistorsione del rachide cervicale: sempre necessaria una radiografia ?
In relazione all’applicazione del comma 2 dell’articolo 139 del Codice delle Assicurazioni, nell’accertamento dell’invalidità da lesione micropermanente, provocata da incidente stradale, non è indispensabile il referto strumentale con immagini.
Le restrizioni poste dalla legge di conversione del decreto Cresci Italia non pongono alcun automatismo che vincoli l’accertamento dell’invalidità permanente alla diagnostica per immagini.
Infatti quest’ultima rappresenta l’unico mezzo probatorio solamente quando il soggetto leso lamenta una malattia che non si può diagnosticare con certezza mediante sola visita medica.
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Questa questione è chiarita dalla Corte di Cassazione durante un’ordinanza in cui fu accolta l’istanza di tre persone che avevano subito danni a causa di un incidente stradale.
Il Giudice di Pace incaricato accoglie la loro domanda di risarcimento solo in relazione all’invalidità temporanea, negando quello per l’invalidità permanente che non è risultata accertata e tale decisione è confermata anche in sede di impugnazione.
Il Tribunale ribadisce che nell’ambito delle microlesioni fosse comunque necessario eseguire un’indagine strumentale necessaria alla diagnosi al fine di risarcire un danno biologico permanente, mentre un semplice riscontro visivo da parte di un medico legale sarebbe stato sufficiente per risarcire un danno di invalidità temporanea.
Una conclusione errata, secondo i ricorrenti, in quanto i commi 3-ter e 3-quater dell’art. 32 del d.l. n. 1/12 (conv. in L. n. 27/2012) sono da leggere in correlazione alla necessità che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”.
Le norme (senza differenze sostanziali fra loro) e i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (ossia il visivo-clinico-strumentale) non sono gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis.
La Corte ribadisce che in materia di risarcimento del danno da c.d. lesione micropermanente, l’art. 139, comma 2, del d.lgs. n. 209/2005, nel testo modificato dall’art. 32, comma 3-ter, del d.l. 1/2012, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi e oggettivi criteri medico-legali.
E, prosegue l’ordinanza, l’accertamento clinico strumentale obiettivo può non essere l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale.
Distorsione del rachide cervicale: sempre necessaria una radiografia ? No, non è sempre necessaria, quindi.
Secondo la Corte, la sussistenza dell’invalidità permanente non deve essere esclusa solamente per il fatto che non vi è un referto strumentale per immagini che la documenti e ovviamente resta comunque necessaria l’esecuzione di un rigoroso ed oggettivo accertamento medico-legale.
La sentenza è cassata con rinvio al Tribunale affinché fosse accertata se l’invalidità permanente lamentata dai ricorrenti possa essere ritenuta o meno comprovata sulla base di criteri oggettivi o se, in concreto, la patologia dedotta fosse suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale.
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